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Dal 7/5 al 13/6/2021

Suite one-o-one Four Points by Sheraton Catania

Suite of love

Nobuyoshi Araki 

​​​​

A cura di Filippo Maggia

 1.000 polaroid in una stanza, realizzate da Nobuyoshi Araki tra il 1995 e il 2005: ritratti femminili, fiori, cieli di Tokyo. Con loro l’intera serie intitolata “Karuizawa lover’s suicide” del 1996, racconto per immagini fra i più celebri di Araki, venti ritratti in bianco e nero che celebrano l’amore vissuto fino in fondo, consumato come un rito unico, intenso e irripetibile. Completa l’ambientazione voluta dall’artista nella suite 101, la raccolta di ventisette fotografie in bianco e nero appartenenti a “Tokyo Comedy” del 1997, una fra le tante serie ambientate a Tokyo dove compaiono molti degli elementi caratteristici della fotografia di Araki: i cieli della metropoli nipponica, ventre materno dell’artista, il gatto Ciro, la terrazza sfondo di tante sue immagini, il bondage, gli animaletti preistorici alter ego di Araki, il lento scorrere della vita della città. Nella galleria non potevano mancare i fiori, “Flower Rond” del 1997, immortalati nel momento di massimo splendore un attimo prima dell’inevitabile decadimento, perché questo è ciò che Araki vuole restituirci con la sua fotografia: un’idea di bellezza suprema che negli ultimi lavori di “Araki Paradise” del 2020, è velata di melanconia, come fossero un riassunto per immagini di una vita vissuta con irrinunciabile intensità.

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Nobuyoshi Araki nasce il 25 maggio del 1940 a Tokyo. Diplomato in fotografia e cinema presso il Department of Engineering della Chiba University, lavora per un decennio, fino al 1972, alla Dentsu Advertising Agency, realizzando la sua prima mostra personale nel 1965 presso lo Shinijuku Station Building e vincendo due importanti concorsi fotografici. Nel 1971 sposa Yoko Aoki, figura centrale nella sua vita privata e nel suo percorso artistico. Ha registrato, in oltre 60 anni di instancabile attività, la vita della capitale giapponese, le strade di Ginza, la metropolitana con le sue infinite linee e i passeggeri assonnati, i bar karaoke con i clienti che vi si riversano dopo l’ufficio, i club privé degli anni Ottanta e Novanta, i cieli della città, i palazzi moderni e la vita per strada, un vero diario di una immensa metropoli narrata giorno dopo giorno in “Tokyo Diary” e in altri volumi fra gli oltre 500 libri pubblicati. Nel 1990, anno della morte della sua compagna, Araki pubblica la serie Sentimental Journey / Winter Journey, sul suo rapporto personale con lei. Innumerevoli sono le pubblicazioni e le esposizioni nei musei internazionali di tutto il mondo, tra cui ricordiamo: Santa Maria della Scala, Siena (2019); Hungarian House of Photography, Budapest (2019); Pinakothek der Moderne Kunst, Monaco di Baviera (2018); C/O Berlin, Berlino (2018); Museum of Sex, New York (2018); Tokyo Opera City Museum (2017); Tokyo Photographic Art Museum (2017); Fondazione Bisazza, Vicenza (2017); Musée National des Arts Asiatiques Guimet, Parigi (2016); Hamiltons Gallery, Londra (2016); Foam Photography Museum, Amsterdam (2014); Guangdong Times Museum, Guangzhou (2013); Museum fur Ostasiatische Kunst, Colonia (2011); Museo d’Arte Moderna, Lugano (2010); Deichtorhallen Hamburg, Amburgo (2010); Rupertinum Museum, Salisburgo (2009); Musée de la Photographie, Charleroi (2006); The Barbican Art Gallery, Londra (2005); Tokyo Metropolitan Museum of Photography (2003); Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato (2000); Centre Nationale de la Photographie, Parigi (2000); Stedelijk Museum voor Actuele Kunst, Gent (2000); Wiener Secession, Vienna (1997); Fondation Cartier pour l’art contemporaine, Parigi (1995). 

Sono la bellezza e lo splendore della donna che il fotografo giapponese vuole esaltare, onorare, glorificare. Una bellezza che Araki cerca anche nelle sue immagini di fiori, composizioni di una purezza quasi tangibile, colti un attimo prima che inizi il loro processo di decadimento. Conosciuto e tanto apprezzato per le sue opere quanto dibattuto in tutto il mondo per il loro contenuto talvolta definito scandaloso, Araki in realtà non è solo il fotografo del bondage, bensì un artista che s’identifica totalmente con la fotografia e con la sua pratica, arrivando ad affermare che la macchinafotografica è come un naturale prolungamento del mio braccio, un regalo che gli ha permesso dagli anni Sessanta di documentare il mondo intorno a lui e, in particolare, la sua vita come fosse essa stessa un’opera d’arte in continuo divenire.

 

Filippo Maggia, curatore della mostra

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